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Iraq: ora occorre l'iniziativa politica
Editoriale di Mimmo Lucà

Si è scritto e detto di tutto sulla commozione e sulla partecipazione che hanno accompagnato il ritorno a Roma dei 19 italiani caduti in Iraq.
Il dolore, l’angoscia e l’orrore per le ragioni di una guerra insensata e sbagliata non trovano, in queste ore, altre parole per esprimere solidarietà, cordoglio e rispetto.
Ma cresce anche il bisogno di riproporre pubblicamente gli interrogativi sul senso di questa guerra e sulla portata del disastro che è sotto gli occhi di tutti.
Si è fatta anche molta retorica in questi giorni e da più parti si è pure tentata qualche strumentalizzazione, sull’onda della commozione generale provocata dalla tragedia di Nassiriya, per legittimare e sostenere le ragioni della guerra. “Bisogna fare attenzione a non esaltare il culto dei martiri e degli eroi della patria strumentalizzando la morte di questi nostri giovani per legittimare guerre ingiuste.” Sono queste le affermazioni di Mons. Nogaro che il comunicato stampa della diocesi di Caserta attribuisce all’arcivescovo. Parole pronunciate in occasione della Giornata per le migrazioni, perché non si resti imprigionati da logiche di violenza e inizi finalmente quel faticoso cammino che oppone al male il bene. Illudersi di fermare il terrorismo con la sola forza delle armi è miopia che prima o poi rivela la sua fragilità. E’ – paradossalmente- la stessa logica del terrorismo che si illude di contrastare la giustizia con altra violenza. Se però esiste nesso tra ingiustizia e terrorismo è necessario costruire condizioni di giustizia per fermare entrambi, non ribadire il linguaggio della forza e delle armi. Mons. Nogaro ci ha rivolto un appello, molto diverso da come è stato presentato e strumentalizzato. Non lasciamoci impressionare da schemi di schieramento che ci pongono gli uni contro gli altri, ma proviamo ad afferrare quei frammenti di verità che la provocazione contiene per continuare a cercare verità, libertà e giustizia tanto con le ragioni del cuore quanto con quelle della politica.
E’ stato detto che quella italiana in Iraq era una missione di pace, che questo avrebbe consentito ai nostri militari di operare in un quadro di maggiore sicurezza e di dare impulso ad una forte iniziativa umanitaria in favore della popolazione locale. La realtà è un’altra. La nostra presenza è stata considerata ad ogni effetto parte integrante dell’azione militare di occupazione e, come tale, bersaglio dell’offensiva terroristica.
Lo stillicidio quotidiano di agguati, sparatorie, atti terroristici, attentati suicidi ci dicono di una spirale di violenza e di azioni militari inarrestabili, di una vera e propria guerra che continua e che anziché spegnersi lungo un processo di stabilizzazione e di ricostruzione democratica, si alimenta e si estende in maniera troppo diffusa, articolata e penetrante per poter essere contenuta.
Gli atroci attentati ad Istanbul ci confermano questo quadro e pongono la comunità internazionale di fronte al fallimento di una strategia di contrasto del terrorismo fondata esclusivamente sull’azione militare e sulla guerra preventiva ed unilaterale. E’ giusto ed anche doveroso porsi l’obiettivo di fronteggiare con coraggio e determinazione il pericolo terroristico, come autorevolmente ci invita a fare il Presidente della CEI. Io penso che ciò debba avvenire entro una cornice in cui risulti evidente il rilancio di una incisiva iniziativa politica per godere del pieno sostegno dell’ONU. Lo sforzo e le parole per la pace di Giovanni Paolo II e il suo impegno quasi ossessivo di richiamare alle ragioni della politica e della legalità l’intera comunità internazionale tornano, da questo punto di vista, ad essere di grande attualità.
Quando sono in gioco le regole della convivenza mondiale le forme sono altrettanto importanti dei risultati. Altrimenti torniamo a quell’antica barbarie per la quale il fine giustifica i mezzi. E i mezzi che prevalgono, non sono quelli della ragione ma quelli della forza, e della forza che si fa meno scrupoli morali e legali.
La guerra ha sconfitto un dittatore ma non ha costruito la pace, e non si vede come possa ricostruire il paese.
Lo scenario era prevedibile, non è peggiore di quello che ci si poteva aspettare e nessuna retorica sullo spirito umanitario (pure autentico) dei nostri militari lo può offuscare.
Con l’occupazione si sono disperse e disgregate tutte le istituzioni irachene, tutte o quasi le forme di autogoverno, con una sorta di tabula rasa di ogni struttura, sistema, amministrazione.
Si è diffusa l’anarchia delle responsabilità, delle competenze, delle funzioni.
Questo quadro e la più totale incertezza dei tempi entro i quali ripristinare l’autogoverno del popolo iracheno hanno favorito la riorganizzazione del terrorismo e delle azioni di guerra, l’affacciarsi di un vero e proprio movimento di resistenza contro le forze militari e civili di occupazione in Iraq che adesso si estende in tutta la regione.
E’ in corso un ripensamento o forse solo una semplice pausa di riflessione nell’amministrazione americana, di fronte a sviluppi evidentemente non calcolati.
Essa si è illusa e ha fatto credere a molti che gli iracheni avrebbero accolto con gioia le truppe occupanti e che solo pochi irriducibili si sarebbero mobilitati contro di loro una volta tolti di mezzo Saddam e i suoi complici.
Giorno dopo giorno, invece, scopre che la resistenza ha molte teste, molte braccia, armi e, soprattutto, è in grado di colpire al cuore la macchina civile e militare americana.
Il risultato di questo intervento è pessimo, e di fronte ad esso, dobbiamo chiederci, anche in queste ore, che senso possa avere, in assenza di fatti nuovi rilevanti e di una svolta politico-diplomatica che consegni all’ONU ed alle autorità irachene, in tempi certi, la gestione della ricostruzione democratica dell’Iraq, il mantenimento del contingente militare italiano.
Pensare che in queste condizioni, tra sei mesi o un anno, l’Iraq sarà un paese guadagnato alla democrazia è pura illusione.
Il rispetto che portiamo per le vittime del conflitto non potrà sottrarci nelle prossime settimane alla responsabilità di confermare una posizione e di compiere una scelta.
In un editoriale di Civiltà cattolica - che come è noto non è un supplemento de L’Unità - si è osservato che “questa guerra irachena ha sconvolto l’ordine mondiale, esautorando l’ONU, ferendo il diritto internazionale, creando un fossato tra l’Europa e gli Stati Uniti e suscitando nel mondo islamico propositi di rivincita contro l’Occidente invasore”.
E si può aggiungere che la democrazia degli Stati arabi è ancora più lontana, l’antiamericanismo in crescita, i regimi arabi moderati in difficoltà, il terrorismo in pieno sviluppo, il conflitto in Medio Oriente ad un punto di massima esasperazione.
In questo quadro, non si può chiedere all’opposizione un’adesione all’impegno militare in un quadro di assoluta incertezza, dove l’unica previsione ragionevole è l’intensificazione degli atti terroristici e delle azioni di guerra. Il governo italiano si adoperi invece per promuovere una urgente iniziativa europea, capace di favorire il ritorno della gestione della transizione irachena all’ONU, l’assunzione di iniziative politiche adeguate per combattere il terrorismo e l’abbandono della tragica strategia dell’unilateralismo.


Mimmo Lucà